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martedì 8 novembre 2011

Se guerra e terrorismo fanno bene ai videogiochi



Fucili e carri armati non sono stati sempre popolari nel mondo dei videogames, anzi. I primi cabinati nonché giochi per console non amavano parlare di eventi reali, scenari plausibili e violenza. Nei primi anni Novanta, la Atari stava sviluppando Missile Command, un classico in cui intercettare dei missili con altri missili per proteggere una città la cui sceneggiatura prevedeva persino nomi inventati di sana pianta. Troppo verosimile, di conseguenza tutto fu trasformato in alieni e città extraterrestri.



Oggi le cose sono cambiate ed il videogioco si è adeguato ad altri media come cinema e letteratura, portandoci a distanza di pad situazioni belliche alquanto credibili.

Una professoressa americana, Nina Huntermann, ha trattato l'argomento nel suo libro Joystick Soldiers, nel quale analizza il mercato dei videogames prima e dopo quel maledetto 11 Settembre. Anche se non nell'immediato, non appena lo sconvolgimento sociale per l'accaduto si è attenuato sono spuntati come funghi giochi ambientati in Medio Oriente oppure con missioni ispirate a fatti e situazioni realmente verificatesi, per non parlare degli scenari dipinti da Tom Clancy, guru della fantapolitica che nell'ultimo decennio ha visto crescere la propria popolarità.

"Dagli attacchi dell'11 Settembre, i maggiori publisher di videogiochi hanno approfittato della paura e dell'ansietà causati dal terrorismo. EA e Activision hanno speso milioni di dollari per produrre e pubblicizzare FPS che semplificano e rendono più glamour il conflitto globale e l'intervento militare."

"I videogiochi non ci fanno capire i costi della guerra, anzi, riducono tutto all'intervento militare ed al sistema d'armi. Nel momento in cui il governo americano dibatte sulla priorità di budget in relazione alle spese militari, è difficile avere una conversazione nazionale sull'argomento dato che la maggiore attenzione sul conflitto bellico è focalizzata nel trattare la guerra come un gioco".






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